
Il mondo del lavoro è così, è sempre stato così. Il padrone che scuce i soldi decide e i lavoratori si attengono alle sue decisioni. Questo naturalmente di larga massima, perché poi vanno considerate un sacco di variabili. Come ad esempio i tempi : nel 1800, prima rivoluzione industriale, il padrone faceva il bello e il cattivo tempo in fabbrica e chi non si atteneva alle sue regole poteva anche rimetterci la pelle. Allora non esisteva neanche il termine di classe lavoratrice, figurarsi se esistevano i diritti dei lavoratori.
Due secoli dopo, oggi, sembra di essere ancora lì. Prima la globalizzazione dei profitti, poi la roulette finanziaria mondiale che ha preso a scommettere non già più sul valore intrinseco di una impresa ( il suo hardware, i suoi macchinari, la qualità dei suoi prodotti e servizi) bensì sulle sue prospettive di guadagno e di successo nella riffa schizofrenica della borsa mondiale. Le merci che scompaiono insieme a chi le produce in un gorgo anonimo che risucchia in pochi secondi montagne di denaro da una parte del mondo per farle rispuntare da un’altra parte, con un semplice clic, in quel gioco senza senso che ci hanno a lungo spacciato come portatore di progresso e di benessere per tutti e che invece ha diviso il mondo in molti sud e molti nord, segnati dal denaro o dalla fame.
Anche la Fiat ha partecipato per tanto tempo all’ebbrezza finanziaria. Smettendo di fare ricerca e puntando a fare solo affari, in realtà disastri, è arrivata sull’orlo del collasso. Per la verità ci è arrivata più volte anche in passato e ha trovato sempre un governo pronto a lanciarle la ciambella di salvataggio. Il denaro investito dall’Italia, diciamo pure dagli italiani tutti con i vari bonus delle rottamazioni, per salvare l’auto made in Italy è stato tanto, ma oggi nessuno se ne ricorda più e quando l’ultimo padrone, l’amerikano Marchionne, l’uomo col maglione, ha cominciato a fare la voce grossa con gli operai e con i sindacati, il governo invece di ricordargli il passato gli ha steso un tappeto verso il futuro. Da Berlusconi a Sacconi i complimenti e le pacche sulle spalle si sprecano in questi giorni, e il prossimo referendum viene in pratica già invalidato da una condanna : se vinceranno i nò niente investimento a Mirafiori.
E se vincessero i sì con il 51 % Marchionne che cosa farebbe ? Si porrebbe il problema del 49 % di operai che hanno detto no e farebbe lo stesso l’investimento ? Ho qualche dubbio. Rialzerebbe piuttosto la puntata, cercherebbe di fare terra bruciata attorno agli operai che gli hanno votato contro. Partirebbero liste di proscrizione e casi ripetuti di mobbing, tanto al ministero c’è Sacconi che gli regge il gioco. E il caso Fiat sarebbe replicato ovunque, con effetto domino. La fine della concertazione, della contrattazione, dello stesso sindacato. Un tuffo nel passato, nell’ottocento.
Non so a chi possa convenire accendere il fuoco in mezzo all’esercito disperato di schiavi che questo bucaniere dalla faccia tranquilla e gioviale intende creare in Italia. L’Italia ha dato alla Fiat finora molto più di quanto la Fiat abbia restituito al nostro paese, in particolare negli ultimi venti anni. Non è declassando stipendi, sicurezza e decoro del lavoro in fabbrica che si risolvono i problemi degli operai e delle loro famiglie. Non è sanzionando alla cieca la malattia e diminuendo all’osso le pause che si migliora la produttività di una azienda. Non è sbarrando la strada alla rappresentatività sindacale che si ottiene un migliore clima fra gli operai. Ciò che si vuol fare giova soltanto alle tasche del padrone, ma per quanto tempo ? E a quale prezzo ? Se il caso Fiat diventa un caso Italia, come è probabile che avvenga stante l’atteggiamento del governo e la più che tiepida reazione dell’opposizione, aspettiamoci di tutto. Quando il distacco fra ricchi e poveri, fra potenti e inermi diventa troppo grande, il primo pericolo che si corre è che qualcuno, come è già successo in passato, riprenda a parlare di resistenza armata. Anche le brigate rosse si consideravano partigiane, e facevano la lotta contro il S.I.M. (lo Stato Imperialista delle Multinazionali). Non vorrei proprio che dopo quaranta’anni si ricreassero quelle condizioni, l’Italia, gli italiani e le italiane che lavorano, si meritano di meglio. Vorrei che qualcuno lo spiegasse per bene a Marchionne, a Sacconi, a Berlusconi, ma anche a D’Alema e a Fassino, che non è bene avventurarsi per certe strade, e che non è lecito a nessuno abusare delle difficoltà della povera gente. La storia della democrazia deve andare avanti, non all’indietro.
Stefano Olivieri